Aria di addio alla salsedine

Ricordo una sera di qualche anno fa, riuniti attorno al grande tavolo di legno della sala da pranzo: fummo invitati a decidere se trasferirci o meno in un’altra città.
Le condizioni furono dettate quella sera stessa: spazi più ampi, cieli e aria più salubre, noccioli e castagni anziché fuscelli spogli e innaffiati dall’urina del cane del vicino.
Ricordo una sera di qualche anno fa, riuniti attorno al grande tavolo di legno della sala da pranzo: fummo invitati ad essere consenzienti.
Fu preso un tacito accordo, dettato dalla muta espressione della voce muta di tutti; nessuno dette aria al suo stomaco;
nessuno rigettò la kakofonia di dissenso che internamente lo invadeva.

Un tacito accordo.

“Quello che di sicuro più mi mancherà è il mare.
Il colore, il rumore, il sapore del mare nell’aria di salsedine di prima mattina.
Lui è stato lì d’estate e d’inverno: dalla finestra della mia stanza, bastava che mi sporgessi un po’ dalla scrivania per vedere un pezzo di blu tra i palazzi confinanti il mio.
Ora che scrivo è esattamente lui che guardo. Guardo la scogliera e le onde, mi porto lontano, dove ogni cosa acquista un altro fisico spessore, un’altra alcalina densità: sono leggera, e non posso che provare un senso di quietudine.
Ora che scrivo la mente si apre, le braccia e le gambe si rilassano, la testa fa meno male e il cuore sembra essere sgombro e più capace di amare.
Quello che di sicuro più mi mancherà è il mare;
quello che di sicuro più mi mancherà è sentirmi come in questo momento, mentre il mio istinto mi implora a restare qui, attaccata con lo sguardo alla marea.”

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